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Il dramma dei profughi raggiunge vette inconsuete

Casa. Solo quattro lettere che per qualcuno potrebbero essere tutto. Un luogo la cui importanza,
forse, la comprende solo chi non lo può avere o chi, pur avendolo, si trova costretto ad
abbandonarlo. E c’è cosa peggiore del vedersi sottratti il proprio “nido”?
Il tormento di chi fugge una situazione non più sostenibile. L’angoscia di chi non ha più punti
fermi. Disperazione mista a speranza. Voglia di ricominciare e tanti sogni per un futuro ancora da
scrivere. Questo e tanto altro quello che si legge negli occhi dei milioni di profughi che ogni anno
raggiungono numeri sempre più alti. Che sia dalla povertà, dalla fame, dalla guerra o da qualche
catastrofe di varia natura, c’è sempre qualcosa che spinge il profugo a lasciare il suo paese, la sua
dimora alla ricerca di qualcosa di migliore. Ed è proprio per perorare la causa di questi uomini e
queste donne, questo loro dramma silenzioso troppo spesso ignorato e dimenticato, che il 20 giugno
si celebra la Giornata Mondiale dei profughi, conosciuta anche come Giornata internazionale del
rifugiato. Indetta dall’ONU, fu celebrata per la prima volta il 20 giugno 2001 in occasione del 50°
anniversario della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati del 1951.
Ad essere costantemente attiva su questo fronte è proprio l’UNHCR, l’Agenzia ONU per i
Rifugiati, che si batte per garantire a tutti i bambini l’istruzione, ad ogni famiglia un posto in cui
vivere, la dignità di un lavoro e la possibilità di acquisire nuove conoscenze e competenze a tutti i
rifugiati. Per poter porre queste importanti richieste ai governi, affinché non rimangano inascoltate
ma siano soddisfatte, l’UNHCR lancia varie petizioni, come quella del 2016 #WithRefugees.
Svariate le iniziative che ogni anno vengono organizzate e ogni anno un nuovo tema sul quale
focalizzarsi viene selezionato. Anche quest’anno, nonostante le condizioni anomale, non si è
rinunciato a celebrare questo importante momento. Tutti gli eventi e le iniziative, così, sono stati
trasferiti sulle piattaforme e sui canali social.
D’altro canto, quella degli apolidi è una realtà che sta raggiungendo cifre sempre più inaudite. Nel
2018, in tutto il mondo, 70,8 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare il proprio Paese
e fuggire; di questi circa 25,9 milioni sono rifugiati, più della metà dei quali sono minori.
Secondo i dati, nel nostro Paese, sono sbarcati 14.339 migranti nel 2018, 2.144 nel 2019 e 5.472 dal
1° gennaio al 10 giugno 2020. Numeri sempre più alti e situazioni ancor più drammatiche.
È necessario, pertanto, portare avanti questa battaglia sempre, nella speranza di poter un giorno
gioire nella consapevolezza che a nessun essere umano può essere tolto o negato un tetto sotto il
quale vivere e che nessun uomo possa rifiutarsi di accogliere e ospitare un altro uomo.
Solidarietà, questa la parola chiave. Un impegno solidale, collettivo, sentito perché tutti possiamo
fare la nostra parte nella lotta a sostegno dell’umanità e perché, come recita lo slogan dell’UNHCR,
«nessuno è al sicuro finché non lo siamo tutti».
Un insegnamento atavico, questo. A farci da mentore ancora una volta l’antica Grecia, questa volta
per bocca di Eschilo. Nelle Supplici, infatti, si racconta il dramma di cinquanta fanciulle, sorelle,
figlie di Danao, che si sono viste costrette a lasciare la loro casa per sfuggire ai loro cinquanta
cugini, figli di Egitto, che le pretendono in mogli. Sono partite dalle coste dell’Africa e sono
approdate in quelle della Grecia; hanno bussato, dopo aver attraversato il mare, alle porte degli
Argivi, con la loro pelle scura e le loro vesti esotiche e barbare ad occhi greci, per chiedere rifugio e
ospitalità. Ed è proprio qui che Eschilo ci consegna la lezione più importante di tutte: pur avendo la
città di Argo un re, Pelasgo, quest’ultimo non può decidere da solo. Per questioni di una tale entità,
infatti, è necessario che la decisione sia presa dalla «mano sovrana del popolo» (δήμου κρατοῦσα
χεὶρ). E il popolo argivo decide di accoglierle e proteggerle ad ogni costo.

Guardiamoci indietro e attingiamo dal passato. Impariamo ad essere anche noi come gli antichi
argivi. L’accoglienza è un atto d’amore e di generosità, il giusto esito di azione pubblica e
condivisa.

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